Storia
La ginestra a mò di cuscino si adagia ai suoi piedi delineando figure astratte, ma di intenso e piacevole profumo che il vento di primavera, a seconda che sia di ponente o di levante, trasporta fin nel centro di Satriano, oppure caracolla rapido e discreto fin dove scorre sornione e infido l’ancinale.
È la storia di Satriano, abbarbicata su due speroni dell’ancinale e dell’ancinalesca, disegnando per un verso e per l’altro un originale mosaico con le case or stinte, or vivaci, che si reggono a vicenda per gli storici e caratteristici vicoletti, inizia forse proprio dell’ancinale, o almeno da esso, attraverso trasformazioni linguistiche, deriva il suo nome.
Ma fu veramente l’Ancinale a dare il nome all’attuale Satriano? Le teorie, le fonti si contraddicono a vicenda e oggi scoprire il vero sarebbe assai arduo.
Una ipotesi da scartare senza dubbio è quella relativa alla fondazione di un castrum ai tempi delle conquiste dei romani che si sarebbero serviti dell’Ancinale per trasportare a valle il legname razziato nelle montagne satrianesi o nelle località vicine.
Forse il sito dell’attuale Satriano potrebbe essere relativamente più recente, ma la fondazione della primordiale Satriano ha origine molto più remote e, senza meno, risale ai tempi della colonizzazione greca. Non a torto la tesi più accreditata è quella che designa l’inizio dell’abitato al tempo dell’antico caecinum e basta sfogliare il sempre valido vocabolario greco rocci, dove kaikinos è tradotto ancinale e kaikinos letteralmente in greco antico ha il significato tra due crinali di monti, di colline e corrisponde proprio alla conformazione orografica di Satriano di ieri e di oggi. Tale ipotesi è anche suffragata dalle tracce che si trovano ancora nell’attuale tessuto urbano. Un intero rione porta un nome che sa di greco, di ancinale. È rione cecinia nella parte alta dell’abitato. Certo è che un agglomerato urbano visse e lavorò lungo la foce dell’Ancinale per molto tempo, potendo facilmente comunicare con il mare e con le altre colonie della magna grecia quali, locri e l’antica gerace. E uno studio satrianese nelle sue ricerche storiche su Satriano scrisse come dal barrio, dal fiore, ed altri, ancenale è l’antico coecimo, rammentato da pausania e tucidide. Lo stesso barrio, stefano e altri tennero parola di una città presso tal fiume, ch’ebbe il medesimo nome. E il barrio su tale congettura non ha avuto mai dubbi.
E a sua volta lo scrittore Vincenzo Sia, nella sua Satriano antica città della magna grecia riferendosi alle conclusioni di padre fiore sulle origini di Satriano annota: potremmo affermare che Satriano è stata fondata quasi mille anni prima di Cristo e pertanto, alcuni secoli prima di Roma, da quella popolazione di razza pelagica che i greci stessi trovarono nella parte più meridionale della nostra penisola nella quale vennero a fondare, intorno al sec. VIII a. C. le loro nuove città e che chiamarono enotria per l’abbondanza di vigneti propri di questi luoghi. Bisogna quindi concludere per quanto riguarda le origini che certamente la vecchia Satriano, la Cecinio, si popolò prima dell’estensione dell’impero romano, rivendicando una civiltà ancora più antica e affascinante quale quella della Magna Grecia e di cui ancora esistono, in parte, usi, costumi, parole nel nostro dialetto che richiamano proprio le origini grecale della nostra popolazione, del nostro territorio.
E in nome Satriano da dove è saltato se nelle fonti storiche troviamo sempre scritto Oppidum Coecinum? Cecinio come e perché si è trasformato Satriano?
I primi abitanti vivevano e trafficavano lungo l’Ancinale. Il villaggio era esposto alle facili piraterie esterne, alle scorrerie che i barbari facilmente potevano portare a termine risalendo lungo il letto navigabile dello stesso fiume.
L’Ancinale, come sempre, anche a quei tempi per suo verso non era predisposto a garantire la tranquillità della gente che viveva e lavorava lungo il suo corso. spesso, nei periodi invernali, si ingrossava e diventava tremendo travolgendo tutto e tutti. Niente di strano che la gente per sottrarsi da una parte alle angherie e ai soprusi dei barbari che risalivano il fiume in cerca di ricchezze e sia per sfuggire alle ire dell’ancinale, lentamente ma inesorabilmente incominciò a trasferirsi in alto dove si trovava la zona collinosa e montana, che offriva sicurezza, protezione, dove era più facile difendersi dagli assalti dei nemici e dalle inondazioni dell’ancinale. E si sistemarono tra la vegetazione della montagna che veniva detto luogo sagro trasformato poi in sagriano.
Da qui arrivare all’attuale nome Satriano il passo è stato breve e facile. Altri, potrebbe essere la conclusione più attendibile, fanno derivare il nome Satriano, dalla località sainaro, località che attualmente si trova alla foce dello stesso ancinale. Così concludono padre fiore e lo stesso Vincenzo Sia. La gente che dal fiume si era trasferita nella parte più alta, tenendo sempre presente che il pericolo maggiore poteva venire dall’assalto dei nemici, pensò di concentrarsi in un’area dove era possibile riunirsi e organizzarsi facendo leva sulle collinette che da sole costituivano un naturale baluardo alle incursioni. A prima dell’anno mille si fa risalire la costruzione di due castelli che i satrianesi, con l’aiuto di qualche architetto greco, costruirono con una buona tecnica in due punti inaccessibili per quei tempi: sul promontorio della bicocca e nella parte alta dell’attuale centro storico u catiaru, il castello.
Il terremoto del 1783 distrusse queste due fortificazioni dove trovarono rifugio tutti gli abitanti satrianesi di allora, allorquando dalla marina giungeva tetro rimbombando lungo l’ancinale, il canto del pescatore per avvisare che lì turchi su sbarcati a la marina.
È su questo inesorabile trapasso dalla florida cecinia, che fu sempre combattuta dalle genti della locride e del crotonese, fino ai tempi moderni, raffaele dolce favilla così sapientemente sintetizza la storia di Satriano: distrutta l’antichissima e florida città, che fu sulle rive del fiume caecinio, gli abitanti di essa cercarono i monti, ed il maggior nerbo fondò Satriano; che allora si resse con proprie leggi, usanze e magistrature; ebbe nobiltà generosa e cavalleresca milizia valente e prode e fu tenuta in pace ed in oste; fu vasta, popolosa, ricca, splendida per eleganti edifizi, molte e ben dotate chiese, vistosi cenobi; e monumenti di pubblica beneficenza. Non florida e possente quanto caecinia, del favore di cui disputarono locresi e crotoniati, ma per cagion del sito e del forte castello, che eressero e chiamarono ancor cecino, mantenne l’indipendenza. quando scesi i bruzi per la selva sacra dei reggiani cadde in lor dominio: conquista dei greci prese il lor culto; venne nel dominio dei romani quando le aquile latine estesero il volo ed ebbe il rito latino; poi fu travagliata da saraceni che sempre respinse; e ridotta al dominio dei longobardi non ricevè le lor leggi.parteggiò per carlo magno, perché l’amico del papa, e da lui fu conceduto a feudo…stenderemo un velo sulla feudalità! Emigrarono più nobili cittadini, si distrussero gli edifizi di poco in poco, venne manco l’amore per la cosa pubblica, in città cadde in basso, e venne un borgo…ma non tanto da non farsi bella e aggredire a ruggero normanno. rotta terribil guerra dal loro principe sotto le bandiere aragonesi; la volontà del barone tornava il voler di ognuno e seguiva il feudalismo ad avvizzire ogni pianta però lo fu mite presso il tramonto. sotto esso il governatore prendea ragion del principe ed amministrava giustizia in suo nome; nei bassi tempi venne il giudice di pace che poi a girare della fortunevol ruota andò altrove. il terremoto infine del 1783, l’invasione dei francesi, gli incendi e le rapine dei briganti dier l’ultimo guasto.
Furono anni, secoli tremendi di lotte, di sfide e buon per Satriano che nella zona poteva vantare una certa supremazia dominava tre casali davoli, san sostene e cardinale. ma è stato un periodo buio, comunque.
Dopo l’anno mille, quando affascinato dal sito, giunse delle nostre parti ruggero l’altavilla che la mise sotto la sua protezione e l’attuale chiesa matrice di Satriano porta il nome d’altavilla proprio in suo onore inizia un certo ordine dinastico, caratterizzato dalla tracotanza dei vari principi che sfruttavano la popolazione.
E sulla costruzione della chiesa matrice conviene soffermarci a far raccontare un po’ di storia allo stesso Raffaele Dolce Favilla: nel 1058 Ruggiero ultimo dei dodici figliuoli di tancredi, conte d’Altavilla nella Normandia venne e con prudenza e per magnanimità conquistò queste regioni che non avrebbe, né per guerra, né per fierezza recate a suo dominio. E Ruggiero fu in Satriano che a lui si rese volentieri; ed ei l’ebbe a cuore, e lo segnò di sua liberalità, ridonando quella chiesa madre sotto il titolo di S. Maria D’Altavilla, memorie del paterno ostello.
Né Ruggiero salito a maggior gloria e possanza sendo signore della Sicilia dimenticò Satriano; poiché inviò per la chiesa tele di esquisito pennello, che col tempio tutto venner distrutte dal terremoto del 1783. Fu riedificata sopra scheletro di legno, ma quell’edifizio di dorica architettura, eseguito a rustico, non si è portato a compimento, e risente ben tutte le ingiurie di 63 anni.
Il feudalismo, sul quale, come già detto, Raffaele Dolce Favilla scrisse stenderemo un velo, mentre sarebbe stato quanto mai utile un necessario raccontare e condannare le angherie, i soprusi l’indifferenza dei vari signorotti di turno, dunque, riempì cinque secoli di vessazione, con i contadini che venivano sottoposti a gabelle esosi per arricchire baroni, principi, signori ed esattori. e dopo anni sottomissione ai Borboni il feudo venne da questi ceduto alla famiglia Ravaschieri Fieschi e Filangieri.
Ma le condizioni per Satriano non cambiarono in meglio per quanto riguarda gabelle, libertà, tasse e balzelli simili. Non si sa se la famiglia ravaschieri fosse nobile, era sicuramente facoltosa e nelle terre lasciavano spadroneggiare i loro fidi agenti che ne inventavano una più del diavolo per tenere sotto tutti gli altri. Ne mai la nobile famiglia ravaschieri è intervenuta per correggere tale andazzo e restituire ai contadini, ai satrianesi il maltolto. Tant’è che al momento della rivolta di masaniello anche nel cosiddetto principato di Satriano vi furono insurrezioni popolari contro le angherie, i signorotti e gli strozzini della nobile dinastia dei ravaschieri. Comunque, tanto per curiosità giova ricordare che Satriano custodisce un quadro scultoreo, non lo stemma che era diverso, della famiglia Ravaschieri e che si trova attualmente sopra la fontana di gatti all’ingresso del centro abitato.
I Ravaschieri furono sempre lontani da Satriano e solo all’indomani del terremoto del 1783, il principe Filippo venne a Satriano facendo confluire generi da protezione civile sottratti ad altri centri del feudo. Quando Filippo Ravaschieri era alla fine dei suoi giorni, lo cedette al nipote Carlo Filangieri che era un borbone, forse un borbone illuminato, che apportò o cercò di apportare ritocchi alla costituzione borbonica e trovò nel ministro Casini un duro antagonista, forse anche sleale, che brigava per mettere in cattiva luce Carlo Filangieri.
Ma prima di raccontare dei Filangeri è doveroso, a prova della nobiltà, della spregiudicatezza, e delle angherie dei ravaschieri, raccontare qualche episodio legato al loro comportamento, addirittura codificato in un rogito norarile.
Il documento risale al 1787 e prevedeva l’incasso di 8.000 ducati all’anno da prelevare ai contadini e altro denaro per l’onomastico della moglie.
La chiosa della regalia obbligatoria alla nobildonna alla nobildonna Teresa consorte del Ravaschieri è inclusa nel contesto generale di un rogito notarile quando Satriano fu dato in affitto dal Ravaschieri e che vale la pena riportare integralmente. Si tratta di una pagina inedita della storia di Satriano che testimonia come le terre venivano amministrate e quando disinteresse vi fosse per il benessere e per i problemi della popolazione. È un manoscritto che porta la data del 16 agosto 1787 e ha come titolo istrumento per lo fitto dello stato di Satriano. Era l’epoca in cui lo stato di Satriano godeva del protettorato di un nobile genovese Filippo Ravaschieri, ultimo rampollo della dinastia dei principi Ravaschieri- Fieschi di Genova, arricchitosi all’ombra della corte di Napoli sta di fatto che il nobile Ravaschieri preferì rimanersene all’ombra del vesuvio e fittare lo stato che avrebbe dovuto amministrare, governare, migliorare, non vivendo tra quella che rea e doveva essere la sua gente. Era come tanti altri principi Filippo forse un po’ più morbido e reso tale dalla volontà della sua seconda moglie Teresa. Almeno, è solo in questi casi, in occasione di calamita di nobili consorti facevano sfoggio della loro presenza al largo palazzo di Satriano. Per il tempo restante ci pensava il fittavolo a razziare ed recapitare l’oro a napoli le spettanze sottratte ai contadini di Satriano. Il fitto dello stato di Satriano come si rileva dal documento rinvenuto, veniva rinnovato ogni quattro anni ed i contratto veniva stipulato in domo abitationis excellettissimi proincipis satriao de dominubus sitis in platea dicta la spiggia di chiaja con il sig. Nicola Anoja. Naturalmente il principe accondiscendeva, dopo ripetute insistenze, purchè l’Anoja si mantenesse, tanto più per non sembrare che per essere, sempre tra i cancelli del giusto e dell’onesto godere. Inoltre l’Anoja perché non venisse rimosso dall’incarico doveva religiosamente lì seguenti patti osservare: 1) che tutte le rendite delli suoi stati e in denaro che in generi ne debba aggente avere la sopraintendenza direzione e cura e badare particolarmente che le rendite siano piuttosto in aumento che in detrimento; 2) e circa le vendite degli ogli, in riguardo della vendita di esso, debba eseguire lorchè verrà prescritto ed ordinato dal signor principe; 3) che lì erary si debbano eliggere dall’aggente ed approvarsi dal signor principe rimanendo detto aggente tenuto et obbligato per ogni colpa e mancanza dei medesimi; 4) debba l’aggente far obbligare l’erario di riceversi e conservare l’ogli dei rispettivi paraggi e per lo sfrido non possono pretendere dippiù che litre due per ogni cento; 5) che debba anche l’aggente far obbligare lì erari quando sono per scadere l’affitti dei corpi, avvisando in tempo proprio aciò il medesimo postafare con ogni comodo lì maneggi per avanzare i medesimi; 6) che l’aggente debba egli ricevere tutte le sete che introiteranno lì rispettivi erari e siano tenuti a pagarli al prezzo della voce della maddalena; 7) che debba l’aggente a tutte sue spese mandare in Napoli ducati seicento per itenerseli poi quando matureranno le vendite dei feudi suoi; 8)che in uno, ogni anno dovrà andare ducati ottomila e nelli principy del mese di gennaio di ciascun anno anche franchi d’ogni spesa. E quest’ultima clausola è la clausola principale:lo stato di Satriano veniva dato in fitto per ottomila ducati. Ottomila ducati che naturalmente l’aggente doveva far pesare sui sudditi.Ottomila ducati che le braccia dei contadini di Satriano,di Sansostene,di Davoli,di Sant’andrea sullo Jonio ,di Isca sullo Jonio, dovevano garantitre per non incorrere nelle ire degli erari.A tale somma vanno aggiunti i numerosi rivoli che dovevano costituire il guadagno degli erari e dell’aggente.In altri termini, alla voce della Maddalena a Catanzaro è rimasto tale toponimo legato al quartiere più famoso per la lavorazione ,un tempo della seta,al contadini di Satriano non rimanevano, per vivere che le fronde del gelso! Ma se questi gli erano gli obblighi derivanti da un presunto corrispettivo, nel singolare rogito vi sono altri pesi frutto della nobiltà. Pesi che erano tali o divenivano tali solo per il popolo debba l’aggente in ogni mese di agosto mandare a Napoli altri ducati duecento per pagarsi alli lughi pii di Genova così avveniva la carità,la munificenza dei nobili! Satriano pagava e i soldi servivano per la vanagloria del sindaco che voleva mantenere un sempre può alto alone di gloria con i suoi concittadini genovesi e ducati cento nel mese di ottobre, li stessi che si danno per regalo alla signora principessa nel giorno di Santa Teresa. La seconda moglie di Filippo Ravaschierisi chiamava appunto Teresa il nobile rampollo, da vero genovese , sfruttava il popolo e comunque nulla trascurava per apparire agli occhi della moglie premuroso con i soldi dei poveri, nonché stimato e amato dai vassalli satrianesi. Con una pedante previsione, fin nei minimi dettagli e poi descritta l’obbligazione per la custodia del gelso, ecco che cosa pretendeva Filippo Ravaschieri: che debba fare obbligare l’erario di Satriano che nel riporre il gelso in magazzeno, debba avvisare il razionale acciò ne faccia il peso e lo scandagli del numero della tomola, e se ne faccia nota sottoscritta, non meno dal razionale che a detto erario per comune catela;e debba poi richiudersi il magazzeno con due chiavi dicise, una delle quali resta in mano dell’erario e l’altra del razionario,e quando quando se ne dovrà far la vendita ne debba l’erario avvisare detto agente e detto razionale segiutandosi poi per lo non venduto attenere le due chiave diverse delli magazzeni dalli razionali ed eraricon dovere però l’aggente osare tutta la diligenza per afittare il resto della montagna ed avendo offerta ne trasmetta copia unita con parere ad oggetto di poter risolvere. Come tutti gli stati che si rispettano, oltre a scambi commerciali, il florido stato di Satriano doveva offrire serie garanzie anche per la salvaguardia della giustizia. E il principe così ordinava nel suo contratto: che l’aggente debba tenergli il numero fisso di quattro soldati, sia di quattro, come ora sta’ stabilito di un tenente, un caporale e due soldati e volendocene di più, con ogni semplice avviso dell’aggente ne spiegherà il bisogno e si daranno i necessari ordini,con approvazione di esso signor principe coll’obbligo di assistere ai beni del signor principe e a prestar aiuto alla corte.
E, infine, la clasuola di chiusura che non ammette discussioni o equivoche interpretazioni: che sia tenuto detto aggente dei suoi conti, non meno che quelli dell’erary rispettivi e che determinazioni del razionale debban’avere esecuzione pronta.
E da Filippo Ravaschieri al nipote Carlo Filangieri che ereditò il principato di Satriano. di lui si può dire tutto il bene che si vuole. Fu amministratore, fu politico illuminato, un apostolo dell’illuminazione liberale, un grande statista, un propugnatore dell’unità d’Italia sotto i Savoia, ma il comportamento nei confronti di Satriano non cambia: la gente di Satriano e del principato ha continuato a pagare e a soffrire. Una pubblicazione di Cesare Morisani del 1872, edita della stamperia di Luigi Ceruso di Reggio Calabria, metteva in dubbio l’illuminismo di Filangieri. Il principe di Satriano, quindi, ci si chiede, fu un vero liberale o un borbone nel senso più retrivo della parola? forse né l’uno né l’altro. Carlo Filangieri, principe di Satriano e di Sicilia, fu un buon amministratore più che un politico. Seppe realizzare opere che sollevarono alquanto le condizioni di indigenza dei sudditi, poche, comunque, per Satriano. Di più per i Siciliani, come annota V.Sia che ha svolto, tempo fa, particolari indagini su Carlo Filangieri: specie i liberali, furono sempre riconoscienti al principe di Satriano e non dimenticarono mai che il suo governo fu molto benefico all’isola. nominato nel 1859 da Francesco II capo del governo e ministro della guerra, Carlo Filangieri, come scrive V.Sia, emise un decreto con il quale veniva condonato il rimanente della pena ai detenuti politici seguito da un secondo decreto per il rimpatrio di alcuni liberali. Per questi provvedimenti il principe di Satriano fu fatto segno di numerose dimostrazioni di simpatia da parte dei patrioti italiani. e ancora in occasione della richiesta di aiuto del Cavour, V.Sia scrive: Filangeri promise il suo pieno appoggio, ma quando il capo del governo filangeri presentò al re e caldeggiò le proposte del salmour inviato da Cavour il re le respense…ecc. e poi si dimise. stando così le cose, chiaramente il Filangeri fu di animo liberale. tale teoria è stata messa in discussione da uno scritto dell’epoca, che è stato rinvenuto nel corso di alcune ricerche sul contributo dei calabresi alla causa del risorgimento. È lo scritto, appunto, di Cesare Morisani il quale contesta indirettamente la tesi favorevole al principe di Satriano e fa notare soprattutto la disillusione della popolazione. scrive tra l’altro il Morisani il giovane re Francesco salito allora sul trono, cioè quando l’eco delle vittorie di Palestro e San Martino, destava forte speranze nelle calde fantasie meridionali, e il desiderio d’una agognata costituzione, tenea sordamente agitati gli animi dei suoi popoli, non seppe far meglio che chiamare al potere l’uomo, che la pubblica opinione designava, e che godeva puranco le simpatie dei potenti stranieri, il principe di Satriano. la giovinezza del sovrano nuovo al governo, ma volenteroso del bene, l’apparire della giovane regina, che colla freschezza del suo agire aveva saputo ispirare a tutti simpatia, la nomina del Filangieri a presidente dei ministri, fece a tutti sperare bene, e più che altro l’attuazione del patto federale firmato a Zurigo. Ma ben altre idee aveva il Filangeri e le mostrò chiare quando si negò alle calde richieste del conte Salmour, inviato straordinario piemontese, che gli faceva le più premurose istanze, perché l’esercito napoletano avesse concorso combattere il tedesco, o che almeno un sol battaglione lo avesse rappresentato in quella guerra nazionale.
E invece, ei il Filangieri concentrò forte nerbo di truppe negli Abruzzi, quasicchè faceva sospettare, avesse voluto coadiuvare gli austriaci, nel caso che la fortuna sorrideva anco una volta, alle loro armi.
Bandì dappoi un’ illusoria amnistia, e mentre ordinò con decreto, che fossero cancellate le liste degli attendibili, con circolare segreta preveniva gli intendenti, a non tener conto di quel decreto, e quanto poi s’aspettavano provvedimenti amministrativi degni d’un uomo di stato, cacciò fuori decreti di pulizia urbana, ormai troppi storici riguardanti le inondazioni serotine e le lavandaie.
Con tale condotta egli tradì l’aspettazione universale, non solo, ma perdè l’opinione acquistatasi in Sicilia, e quando lasciò il potere cadde inosservato, ma a discapito del sovrano, che discreditato dai suoi nemici, perdeva l’affezione dei sudditi.
Il Morisani annota infine che persino una procura sedizione a seguito di malcontento per i suoi atti, il Filangieri domò colla mitraglia.
Fu allora, secondo quanto asserisce il Morisani, un liberale o un fedele servitore del re borbonico? voleva l’Italia unita o mantenere l’autonomia del regno delle due Sicilie?
Altri, invece, come Vincenzo Sia, nel libro Satriano antica città della Magna Grecia, respinge con forza le asserzioni del Morsani su Carlo Filangieri poiché contrastano con la verità storica e gettano delle ombre sulla figura adamantina del Filangieri definito dallo storico Raffaele de Cesare come l’unica testa politica del reame di Napoli. Alla luce di queste diverse tesi si può affermare che Carlo Filangieri fu un sincero liberale o un borbone convinto? Figlio di Gaetano Filangieri, giurista insigne e filosofo di dottrina illuministica Carlo aveva studiato a Parigi proprio nel periodo in cui imperavano i principi della rivoluzione e in tutte le scuole di Francia la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino veniva studiata come il catechismo e le lezioni iniziavano al canto della marsigliese. Appena uscito dal priteneo, si era arruolato giovanissimo tenente imberbe nell’esercito francese ed aveva seguito Napoleone. Nato dunque da un illuminista ed educato alla scuola della rivoluzione francese non poteva essere di principi liberali. e ne danno ampia dimostrazione i numerosi atti da lui compiuti, quali il ripristino della consulta ed il rimpatrio dei liberali compromessi coi fatti del ‘48, come luogotenente della Sicilia e poi come capo del governo i provvedimenti di condono e di amnistia e soprattutto la lunga e sofferta lotta presso il re per la concessione della costituzione. Pur legato ai borboni per giuramento di soldato e mai per comunanza di vedute afferma il de cesare, il principe di Satriano senza ombra di dubbio, un convinto liberale, alla maniera e nella stessa misura in cui fu il Cavour solo che il liberalismo dei Filangieri non si identificava con l’unità d’Italia sotto casa Savoia. A conforto di questa tesi sovviene Ilo de Cesare il quale dice l’opera del è principe durante questo periodo in cui fu al governo mirò costantemente all’alleanza con il Piemonte al concorso delle armi napoletane nella guerra di indipendenza contro gli austriaci e alla formazione di due grandi stati costituzionali a nord a e a sud d’Italia confederati a comune difesa. In definitiva si può dire che il suo governo in generale, nel Regno delle due Sicilie è stato caratterizzato da una condotta di sincero liberale. Forse perché preso da tanti suoi impegni di Federico II invece, continuo per Satriano la stessa politica dei predecessori edil apese rimase in balia dei suoi agenti che certamente in più di una occasione approfittando degli impegni di governo che tenevano lontano Carlo Filangieri fecero il loro comodo anche in sua insaputa. Carlo Filangieri fece comunque dopo aver lasciato la Sicilia, una sua apparizione a Satriano ed in quella occasione, (ma fu mai data pratica applicazione ?) regalo ai satrianesi la montagna che doveva essere divisa in parti uguali tra tutti i cittadini. Si sa che la montagna continuo a rimanere appannaggio di pochi ricchi ed i contadini continuarono a lottare e vedremo le conseguenze anche subito dopo il,secondo conflitto mondiale quando a Satriano vi fu la rivolta dei contadini capeggiata da Cesare Ranieri.
A Carlo succedette Gaetano Filangieri l’ultimo principe di satrinao nel 1887. Dopo Gaetano Filangieri inizia l’epoca risorgimentale. È l’epoca di Raffaele Guarna di Raffaele Dolce Favilla. Satriano segue le vicende all’unità d’Italia ed il suo contributo non fu indifferente attraverso al presenza e l’azione di uomini che lottarono e si adoperarono per migliorare le condizioni generali del paese. Arriva l’era dei sindaci, anche se ancora non eletti con libere elezioni, ma per censo.
Qualcosa di nuovo comincia a venire alla luce nel processo di trasformazione di Satriano fino a diventare quella che è oggi. Nel maggio del 1875 viene ultimata la costruzione del portone della chiesa matrice dal falegname artista Antonio Sgrò. Il 15 novembre 1879 il sindaco Raffaele Dolce Favilla dà il via alla costruzione del cimitero, affidando i lavori della ditta Domenico Vannini. Prima le salme venivano calate nei comuni ossari delle chiese e solo qualche nobile famiglia poteva godere del privilegio di seppellire i propri cari nei loculi a loro riservati nelle arcate e nelle pareti laterali delle chiese. Nell’aprile del 1880 viene avanzata istanza al consiglio notarile di Catanzaro perché si compiaccia di autorizzare in Satriano l’impianto di un archivio mandamentale. Già dal 1886 il centro di Satriano era illuminato potendo disporre di quaranta lumi a petrolio, che rischiaravano le anguste vie dell’antico borgo. E naturalmente per lo spegnimento c’era un ufficiale incaricato. Nel 1890, ultimato il cimitero, sorge un altro piccolo problema. I fiori che venivano depositati sulle tombe appassivano perché la zona era sprovvista di acqua. E allora il sindaco del tempo fece incanalare un rivolo d’acqua che scorreva in località monaci e si costruì così quella che attualmente è nota come fontana gatti. Originariamente quindi serviva esclusivamente per provvedersi d’acqua prima di giungere al cimitero per poter annaffiare i fiori. Il 31 agosto 1891 viene approvato il primo progetto per la costruzione della strada Satriano - Cardinale.
Nel 1902 a Satriano è stata istituita una normale rivendita di generi di monopolio n° 1, dove era possibile trovare tabacco e chincaglierie di ogni genere.
Naturalmente Satriano non era tagliato fuori dalle comunicazioni e già fin dai primi anni del secolo scorso disponeva di un normale servizio di recapito. C’era prima un procaccia che puntualmente si trovava al ponte di Crisura nelle giornate prestabilite e agli orari convenuti per ritirata dalla carrozza trainata dai cavalli la corrispondenza destinata a Satriano. E nel 1906 venne costruito il casotto nei pressi del ponte sul fiume Ancinale che doveva servire per far stare al riparo delle intemperie prima il procaccia e poi il portalettere lì in attesa, a volte per delle ore, per il ritiro delle lettere. Il posto di portalettere venne istituito a Satriano nel 1908. Era un sintomo che si stava cambiando anche al sud.
La posta arrivava sempre già suddivisa e impacchettata pronta per la distribuzione o il ritiro.
Satriano era un paese in crescita, un centro sempre ospitale che accoglieva i forestieri con vero senso di ospitalità e di cordialità, cercando di rendere, per quanto era possibile a quei tempi, gradevole il soggiorno. Oggi non c’è nel centro storico, un albergo, ma nel 1907, quasi un secolo fa, Satriano aveva un albergo degno di tale nome in via Lucciarello. nello stesso anno è stato acquistato il pubblico orologio e sistemato nel campanile della chiesa matrice. Era un orologio rudimentale. bisognava dargli la carica due volte al giorno e il tempo era segnato da grossi macigni naturalmente ben sagomati e legati a delle fInanch’esse proporzionate allo scandire più o meno esatto del tempo. queste pietre andavano su e giù e facevano camminare l’orologio. Un funzionamento alquanto rudimentale. L’orologio così concepito è durato fino all’immediato dopoguerra e chi ha più di quarant’anni ricorderà che vi era incaricato, Vincenzo Diaco, al quale il comune corrispondeva una lira al giorno, per il suo lavoro di provetto orologiaio. Dopo l’orologio pubblico a Satriano è arrivata l’energia elettrica. Era l’anno 1913. Funzionavano trenta fanali per due ore, la sera, per ventitrè giorni al mese. Quando c’era la luna i fanali non venivano accesi. Nel 1918 c’è stata una rivoluzione nella toponomastica del paese: la piazza centrale del paese è stata intitolata a re Vittorio Emanuele III, la piazza Puccio al generale Diaz, la piazza spirito santo alla città di Trento , la via Cretari si trasforma in via Cesari Battisti, la via Fontana in via Nazario Sauro, la Piazza Convento in Piazza Willson e il tratto dell’attuale corso tra la chiesa matrice e largo palazzo assume il nome di via Dante. nel 1909 è stato acquistato il palazzo Condò dove ancora trova ospitalità il municipio. Satriano ebbe a sopportare numerose calamità naturali: nel 1908 vi è stata l’invasione delle cavallette; nel 1933 e nel 1935 due alluvioni con straripamento del fiume ancinale che ha determinato devastazione e purtroppo morti; nel 1943 il bombardamento che danneggiò la chiesa matrice e numerose abitazioni, alcune delle quali completamente distrutte.
E tornando indietro, nell’aprile del 1921 è stato disposto l’acquisto di un albero di castagno da utilizzare, anche in avvenire, come albero della cuccagna e che non ha niente e che vedere con quello successivamente piantato e che rappresentava il cosiddetto albero di Mussolini. Nel 1925 iniziò a funzionare la ferrovia a scartamento ridotto delle calabro lucane. Il giorno dell’inaugurazione, con a bordo dei vagoni di notabili del tempo e i tecnici delle ferrovie , alla stazione di Satriano vi era una folla di curiosi, altre venti persone che, a piedi, attraverso a madonneria, si erano portati con largo anticipo al preannunciato passaggio del treno con la locomotiva a vapore che sbuffava . Alla stazione di Satriano si fermò per un buon quarto d’ora. Le autorità locali tirarono fuori e lessero il loro bravo discorso d’occasione mentre un fascio di fiori veniva offerto a un tecnico delle ferrovie e il ragazzo che guidava la locomotiva preferì sorseggiarsi una vozza d’acqua della fontana vecchia che una ragazza satrianese gli aveva offerto. e l’arrivo del treno a Satriano ha rivoluzionato nel vero senso della parola il modo di vivere dei satrianesi che potevano così disporre di un mezzo comodo , sicuro e veloce per raggiungere soverato e catanzaro da una parte e Chiaravalle dall’altra. Per lunghi anni si arrivava e si tornava alla stazione di crisura a piedi: era una vera e propria festa, si formavano improvvisate comitive, si parlava , si socializzava, si intrecciavano e si rompevano amicizie. A votatura vecchia, a madonneria erano il banco di prova per ritemprare la forza e dimostrare il fiato che si aveva in corpo. La ferrovia della calabro lucana nel dopoguerra perse il fascino perchè la locomotiva a carbone venne sostituita da più moderne littorine che viaggiavano a nafta senza fumo ed esalazioni più o meno sgradevoli. Con tanta malinconia venne soppressa nel 1969. Nello stesso anno in cui a Satriano arrivò il treno, arrivò in municipio anche la prima macchina da scrivere, manuale, era di colore nero, molto alta come carrozzeria e i tasti in osso bianco. Nel luglio del 1927 è costato lire 89,60 l’impianto di illuminazione dello stemma del fascio messo fuori al fabbricato del municipio: mentre l’anno dopo è stato, insieme a parte dei bassuli, realizzato un monumento ai caduti, mentre nel 1931 è stata progettata la costruzione di un campo sportivo sulla fontana vecchia con il ricavato cinquecento lire della vendita di parte del cimitero. Nello stesso anno è stato trovato tagliato l’albero di Mussolini e i sospetti caddero, come ispiratore, su Cesare Ranieri e la sua casa venne messa a soqquadro e fu costantemente seguito passo passo dalle camicie nere. Sono episodi curiosi e storici che caratterizzarono e cambiarono la vita di Satriano nell’ultimo secolo, passata dall’epoca borbonica a quella risorgimentale, a quella fascista per arrivare al dopoguerra. Il dopoguerra è stato caratterizzato soprattutto da una graduale , ma decisiva spinta della popolazione verso posizioni di progresso sia come crescita materiale sia come raggiungimento di livelli di libertà, con un riscatto dei ceti più deboli. nel 1946 si sono svolte le prime elezioni libere. vinse la democrazia cristiana. ma la popolazione ancora soffriva. I contadini, i reduci che erano tornati dal fronte non avevano di che sfamarsi. si camminava ancora a piedi scalzi. Si cercava pane e lavoro. I contadini lavoravano la terra continuavano ad essere sudditi del padrone. Pochi grossi proprietari dettavano le regole per le prestazioni e le retribuzioni di chi lavorava la terra. Sulle ali delle voci provenienti da altre zone, ma prima dei fatti di melissa, la sofferenza e la sopportazione era arrivata ad un punto di rottura. Si ritrovavano nella sezione della federterra con i locali sempre più angusti per contenere le adesioni e le presenze dei braccianti. Quei contadini, quei lavoratori si ritrovano attorno ad una figura carismatiCa che da sempre aveva lottato per la libertà ed il riscatto del mondo contadino e che li accoglieva e li formava agli ideali di giustizia e dei diritti dell’uomo, a dispetto degli sfruttatori. Era Cesare Ranieri, insegnante elementare, perseguitava dal fascismo fin da quando era studente e che aveva sposato la causa dei contadini di Satriano, dei lavoratori in genere. Dal 1946 al 1948 vi è stato un periodo caratterizzato da lotte pacifiche, che servirono da una parte a forgiare le menti e dall’altra a tastare il polso a chi deteneva il potere del mondo della terra. Ed è stata una dura fatica tenere a freno tanti giovani, tanti padri di famiglia che pretendevano di fare giustizia sempre e subito. Ma la rivolta era già nell’aria. Era stata preparata, anche se ancora non era stata deciso il giorno. Una mattina, all’alba, era il 21 giugno del 1948, spontaneamente tanti lavoratori si ritrovarono dinnanzi l’ingresso della federterra. Iniziarono a sfilare in silenzio e man man che lentamente procedevano, le file si ingrossavano sempre di più. In silenzio tutto il paese partecipò a quella giornata che doveva essere una giornata di riscatto. In silenzio prese a marciare verso la montagna grande di Satriano per occuparla, coltivarla e trovare così lavoro e un reddito sicuro per vivere. C’era stata però la soffiata e i carabinieri accorsi riuscirono a bloccare quella folla inerme che continuava a chiede pane e lavoro. le donne, numerosissime al corteo, riuscirono a sconfinare e di corsa tornarono indietro recando in testa fasci di rami, di frasche secche e si portarono dinanzi al municipio deserto depositando il loro carico dinanzi all’ingresso con l’intenzione di mettere fuoco. anche qui le forze dell’ordine erano in attesa, in gran numero, e riuscirono a bloccare disperdendole.
Naturalmente la rivolta di Satriano non finì così. I carabinieri stilarono il loro rapporto, portarono in caserma diverse persone e diciassette lavoratori insieme con Cesare Ranieri furono denunciati.
Il processo si svolse in primo grado presso la pretura di Davoli che assolse i 17 lavoratori, ma condannò ad un mese di reclusione Cesare Ranieri. Gli imputati furono difesi dagli avvocati seta e tropeano, che furono vicini alla causa dei contadini di Satriano, che fecero a gara per pagare in natura gli avvocati.
Il processo continuò e si concluse al tribunale di Catanzaro dove anche Cesare Ranieri venne assolto con formula piena da ogni accusa e potè continuare così, ancora con maggior forza e baldanza a difendere i lavoratori satrianesi, che lo hanno sempre guardato con simpatia e ammirazione.
Iniziava così una nuova era per Satriano. Un’era conosciuta da tutti in quanto cronaca quotidiana. E che, come tale, non può essere raccontata perché risentirebbe di emozioni e sentimenti che la priverebbero della necessaria e opportuna oggettività, per la quale, appunto, la cronaca è altra cosa rispetto alla storia.
Autore: Raffaele Ranieri